I BAMBINI AFFOGATI
È mezzogiorno di quell’11 ottobre, forse prima, quando uno dei profughi a bordo di un peschereccio stracarico partito dalla Libia, per la prima volta prova a contattare i soccorsi italiani. Una settimana prima, il 3 ottobre, in quello stesso braccio di mare sono morte altre 368 persone. A chiamare è Mohanad Jammo, 40 anni, primario dell’unità di terapia intensiva di un ospedale di Aleppo, sopravvissuto al naufragio insieme alla moglie, ex docente universitaria di ingegneria meccanica. Nel naufragio Jammo perderà entrambi i figli, di 6 anni e 9 mesi. A raccogliere l’sos è la centrale di coordinamento di Roma.
L’imbarcazione in difficoltà è a 113 chilometri da Lampedusa e 218 da Malta, Jammo riesce a vederlo dal gps che ha sul cellulare e per questo cerca di contattare il paese più vicino, l’Italia. Non sa, invece, che tra le 27 e le 10 miglia di navigazione, poco oltre la linea dell’orizzonte, c’è la nave della Marina Libra, che pattuglia quel braccio di mare. Il peschereccio intanto sta affondando a causa dell’eccessivo numero di passeggeri imbarcati dai fratelli Khaled e Mohamed, che gestiscono il traffico di esseri umani nel porto di Zuwara in Libia. Sull’orario di quella prima telefonata, girerà uno dei punti dell’inchiesta della procura romana. Jammo ha raccontato più volte di aver parlato la prima volta con la centrale alle 11 di mattina e che fin da quel primo contatto la Guardia costiera lo rassicura. La Marina dice invece che il primo contatto, incomprensibile, è delle 12.26. Quel che sembra chiaro è che alle 13, la centrale operativa italiana rinuncia all’intervento e passa formalmente la richiesta di soccorso ai maltesi, nonostante questi si trovino molto più distanti. Gli ufficiali italiani sostengono di aver seguito i criteri di condotta internazionali dettati dalla Convenzione di Amburgo, che impongono a ciascuno Stato la responsabilità del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in aree definite e dichiarate.
L’ERRORE
Quando il coordinamento è nelle mani de La Valletta c’è un nuovo incomprensibile errore. Sebbene sia la più vicina, non viene allertata la nave Libra, che si trova nelle vicinanze ha anche a bordo un elicottero
Alle 17.07 il peschereccio è capovolto. Solo a quel punto viene chiesto aiuto all’Italia. Alle 17.51 arriva sul posto il primo pattugliatore maltese. Alle 18 arriva anche la Libra, mentre da Lampedusa vengono fatte partire due motovedette e due pattugliatori veloci della Guardia di Finanza. Le operazioni sono difficili, per il freddo, la scarsa illuminazione. Vengono recuperati 26 corpi senza vita. Più di 200 persone vengono messe in salvo. Chi è sopravvissuto, inizia a contare i dispersi. Ora, la Procura, che ha ricevuto gli atti per competenza dai colleghi di Palermo tre anni dopo i fatti, dovrà stabilire se si sia trattato di un’operazione di salvataggio regolare e in pieno rispetto del protocollo. O se, invece, i soccorsi siano andati troppo a rilento a causa di un rimpallo di responsabilità evitabile. Nei prossimi mesi i pm prenderanno una decisione. Prima, dovranno mettere in fila le decine di testimonianze dei superstiti e dei membri dell’equipaggio delle navi coinvolte.
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Ultimo aggiornamento: Domenica 23 Ottobre 2016, 13:16
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