"Infedeli nello spiedino del kebab": marocchino in manette a Torino

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Invitava sul web i fedeli musulmani ad unirsi allo Stato Islamico, e alla jihad, proponendo che gli eventuali traditori fossero messi «nello spiedino del kebab» e «dati ai cani... dopo averli arrostiti». Un marocchino di 29 anni, Mouner El Aoual, è stato arrestato a Torino dai carabinieri del Ros per reati con finalità di terrorismo internazionale. Tra gli amministratori di un canale chat denominato 'Lo Stato del Califfato Islamicò, aveva esternato la volontà di pianificare un attentato terroristico in Italia. Ed era alla ricerca di altri sodali per la sua realizzazione.

Irregolare dal 2008 in Italia, a Torino aveva conquistato la fiducia di due italiani, madre e figlio che lo ospitavano da nove anni. Dietro quello che loro consideravano come un figlio adottivo, secondo l'accusa si celava in realtà «un soggetto estremamente pericoloso» per «l'attività di proselitismo» e «l'incitamento ad azioni violente e letali». Con «l'altissimo rischio per intenti e personalità», scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, «di passare direttamente all'esecuzione di tali gravi atti di violenza».

I militari del Ros di Torino, agli ordini del colonnello Michele Lorusso, hanno identificato El Aoual nell'ambito delle attività di prevenzione e contrasto del fenomeno dei cosiddetti 'foreign fighters', i combattenti ribelli stranieri. Con il nickname 'Salah Deen', il presunto terrorista aveva condiviso su Facebook immagini di propaganda jihadista difficilmente reperibili, particolare che ha sollevato più di un sospetto sul suo possibile inserimento nell'organizzazione terroristica dell'Isis. In contemporanea, l'Fbi ha segnalato alle autorità italiane l'amministratore di una chat room, sul social network Zello, denominata 'Lo Stato del Califfato Islamicò e localizzato in Italia.

Gli accertamenti avviati dalla Procura di Roma e proseguiti dalla Procura di Torino, a cui è stato trasmesso il relativo fascicolo processuale per competenza territoriale, consentiva di appurare che uno degli amministratori del canale tematico, nickname 'ibn dawla7', ovvero 'figlio dello Statò, era lo stesso El Aoual. Sfruttando la copertura che era riuscito a crearsi, l'uomo utilizzava utenze telefoniche intestate a terze persone italiane, tra cui i due italiani che lo ospitavano, al momento soltanto persone informate dei fatti nell'ambito dell'inchiesta.

«Allah benedica il Profeta Muhammad, pace e benedizione su di lui, i nostri signori Abu Bakr, Otmane, Omar, Alì e la madre di tutti i credenti Aisha», era il giuramento di fedeltà a cui venivano sottoposti i nuovi membri della chat room, sul quale il marocchino promuoveva l'ideologia del Califfato, affermando di essere il portavoce dell'organizzazione terroristica e di aver giurato fedeltà all'emiro Abu Bakr Al-Baghdadi. «All'interno di un'organizzazione particolarmente frastagliata ed articolata in tutto il mondo come Daesh - scrive il Gip nell'ordinanza -, spesso sostenuta da elementi singoli che non hanno veri e propri legami con l'apparato direttivo centrale, la presenza di un 'promotorè qualificato, responsabile della propaganda e in grado di 'condividerè fonti ed informazioni ufficiali ed aggiornate, è fondamentale e di importanza pari a quella di un 'combattentè. Figura peraltro costantemente evocata e proposta dall'indagato, anche per se stesso - conclude il giudice -, in termini positivi ed eroici». 
Ultimo aggiornamento: Martedì 25 Aprile 2017, 10:23
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