Da Bari ad Atene per vincere il cancro: "Vittima
della malasanità, così ho salvato mia figlia"

"Io, vittima del cancro e della malasanità. Così ho salvato mia figlia"

di Antonio Manzo
«Non volli abortire pensando di salvare solo me stessa. Mio dovere era far nascere lei». Angela Bianco, 29 anni, parla tre anni dopo un miracolo che, dice, «abita tra la scienza degli uomini e la mano di Dio e di padre Pio». È lei che a ottobre 2013 finisce in una storia di malasanità tutta italiana: fu costretta a lasciare l'ospedale di Bari dove era in attesa delle autorizzazioni necessarie all'intervento sul tumore maligno al cervello con il «cyberknife», il robot anti-cancro che avrebbe salvato la sua vita e quella della bimba che portava in grembo. Quel sì da parte della Regione Puglia non arrivò in quei giorni, né nei mesi successivi.

Angela fu costretta ad emigrare ad Atene e tentare lì la strada della salvezza.Ora Angela racconta la sua avventura nell'appartamento di Casalvelino, dove vive con il marito, Marco, autista di bus. Ma qui vive anche quel batuffolo, Francesca Pio, che scorazza per casa: è il frutto della scelta drammatica della mamma, in quell'agosto di tre anni fa quando si risvegliò dal coma durato pochi giorni e causato da un'emorragia cerebrale. «Dico subito ai medici: io non voglio abortire, voglio che nasca mia figlia. A qualunque costo», racconta ripensando al dramma.

Francesca Pio, due anni, gioca serena al fianco della madre che parla. Un giorno, e non sarà lontano, saprà perché è nata. Se davvero esiste l'empatia infantile, la bimba ne è una dimostrazione vivente: ha capito che la mamma parla di quei terribili giorni. E con il telefonino spedisce raffiche di WhatsApp al professor Leo Romanelli, il neurochirurgo cilentano con formazione americana, che ha operato la mamma con il cyberknife. Romanelli la piccola lo ha conosciuto nel corso delle visite di controllo di Angela, e così, come solo i bambini riescono a percepire con le antenne dell'innocenza, quel chirurgo a lei è davvero simpatico.

«Ero assillata da un dramma sconvolgente, farmi curare e tentare la salvezza con una chemioterapia che avrebbe devastato il corpo di mia figlia in grembo, oppure tentare una strada di chirurgia avanzatissima come quella del cyberknife?», ricorda la donna. Comincia così un racconto di vita, nel cuore del Cilento, il centro della scena era sì la malattia devastante di Angela Bianco - un glioblastoma multiforme, tumore maligno al cervello - ma soprattutto quella querelle di malasanità, che intorno al suo caso finì sui giornali di tutto il mondo. L'impossibilità cioè, di potere essere curata a Bari in una clinica, non autorizzata, con l'apparecchio del cyberknife, e tentare la strada della salvezza ad Atene.

Angela finisce in Grecia, viene operata da Leo Romanelli il neurochirurgo italiano, ma con radici scientifiche americane che garantisce la sopravvivenza della bimba in grembo e l'intervento su quel diavolo di tumore al cervello.La storia comincia la sera del 28 agosto 2013. «Ero incinta di tre mesi - racconta Angela -. Eravamo a cena, per la festa di compleanno di mio nonno, ottantadue anni, quando fitte tremende squarciano il mio cervello. Non ce la faccio, svengo. Vengo subito portata all'ospedale di Vallo della Lucania, al reparto di neurochirurgia diretto dal dottor Claudio Bracale. Vado in coma, ma dopo pochi giorni mi risveglio e vengo trasferita al policlinico Umberto I° di Roma per una biopsia urgente. Il verdetto è immediato, tumore maligno al cervello. Mi dico, è la fine per me e anche per mia figlia. Mi consiglio con il mio ginecologo, Salvatore Ronzini, che mi poi mi seguirà fino alla nascita di Francesca Pio nel 2014».

Tra le alternative, inevitabilmente, c'è anche una interruzione volontaria della gravidanza. Contatto immediato, come si usa tra cilentani concreti. Ma dove si trova un cyberknife al sud che consenta al professor Romanelli di operare? Si va a Bari, dove Angela avrebbe potuto essere sottoposta all'irradiamento al cervello con la straordinaria macchina laser, capace di agire come un killer perfetto: colpire cioè esclusivamente la massa tumorale senza intaccare le cellule sane, garantendo, quindi, la sopravvivenza del feto. Ma a Bari la burocrazia assedia il dramma di Angela. In quella clinica dove è ricoverata non c'è autorizzazione regionale per quello specifico trattamento al cervello.

In una clinica privata di Atene, l'intervento riesce perfettamente. Il caso di Angela Bianco diventa caso scientifico internazionale. Sull'accreditata rivista «Physica Medica» tutto il mondo scientifico conosce il dramma di Angela, incinta e con tumore maligno al cervello. «Sto facendo la mamma, come volevo dopo una lunga battaglia. Subito dopo il parto, tre mesi dopo, ho iniziato un ciclo di chemioterapia non invasivo. Ma a me non interessava più nulla, tranne la gioia di vedere che mia figlia era nata». Alla fine, quando Angela rende i conti della sua drammatica esperienza scopre che quello che di meglio e di più vero rimane della sua scelta di non abortire è il volto di Francesca Pio. «Mi è toccato, sinceramente, sommessamente - dice Angela - di aver assecondato un disegno che nella storia non si rivela compiutamente. Vorrò raccontare tutto a Papa Francesco, se ci riesco».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 10 Marzo 2016, 08:55