Terremoto, il calvario di Simonetta per l'ultimo
bacio a figlio, nuora e nipotini

Il calvario di Simonetta, chilometri a piedi per ultimo bacio al figlio

di Mario Ajello
dal nostro inviato

AMATRICE Arriva da Ascoli. Con un tumore al polmone, un marito con il braccio rotto al collo (ma è scampato all'eccidio di Accumoli) e quattro morti da piangere: il figlio, la nuora e due nipotini di otto mesi e di otto anni. Ora è in pullman Simonetta Tuccio, 62 anni. Poi prenderà la navetta che porta ai limiti della zona rossa. Poi due chilometri a piedi lungo l'asfalto che si inerpica verso Amatrice città chiusa. E poi, ancora, gli ultimi mille metri Simonetta li percorre salendo su un sentiero di montagna, anche se ai piedi porta i sandali e non le scarpe da trekking, trascinando la sua bombola per l'ossigeno: «Da quando ho il cancro, questo aggeggio è la mia amica più stretta e ora che non ho più figlio e nipotini lo diventerà sempre di più».

I VESTITI
Il marito, settantenne, Alessio, oltre al braccio rotto trascina una borsa che contiene i vestiti per i defunti: «Sono morti mentre dormivano, tutti in mutande. Li andiamo a vestire per il funerale».
È l'obitorio la meta di questa scalata lungo la quale Simonetta scivola tre o quattro volte, non accette le scarpe da ginnastica che le offre la figlia (anche lei nel gruppo insieme al fratello: erano in tre ma il terzo, Andrea, non c'è più) e boccheggia e suda ma «devo farcela, lo devo ai miei morti». Ogni tanto questa donna si siede su un sasso, a ricordare: «Il campanile di Accumoli è caduto di botto, quella notte, e solo noi anziani, io e mio marito, siamo usciti vivi dalla casa che ora non c'è più». La salita continua. Ci sono i rovi, e i sassi sul percorso che rendono tutto più difficile. Per non dire dei calmanti che ha inghiottito Simonetta: «Mi instupidiscono? Meglio così. Sennò non farei la pazzia di questo cammino. Ma Andrea merita questo e lo farei anche se fossi senza gambe». Beve un sorso di acqua dalla bottiglietta. Non piange. Non c'è tempo. Il cammino è ancora lungo. Prima di arrivare sul sentiero, la famiglia Tuccio ha provato a fermare sulla strada un'ambulanza: «Ci caricate?». «Non possiamo, a meno che non ci siano ragioni sanitarie». «Guardi, ho la bombola a ossigeno e un cancro in petto e in più devo andare a salutare il corpo di mio figlio nelle tende dell'obitorio. Non basta?». Evidentemente, no.
Con la polizia la stessa storia. Dunque, la scalata della disperazione. Che Simonetta vive con una dignità commovente. C'è chi piange intorno a lei, vedendo lo sforzo che sta facendo, ma lei niente. «Quanto manca?», sono le uniche parole di debolezza che ogni tanto pronuncia timidamente, aggrappandosi al marito che ha quasi dieci anni più di lei e lavorava nell'edilizia mentre il figlio che non c'è più era pittore.

COME EVAPORATI
«Insieme ad Andrea e ai nipotini Stefano e Riccardo - racconta Simonetta con un filo di voce - ho perso mia nuora Graziella. Per me era una figlia, la conosco da quando aveva 14 anni». La madre di lei ha già riconosciuto i corpi nelle buste bianche. La via crucis di Simonetta è più che altro un omaggio alla memoria di una famiglia che è stata felice e adesso «siamo tutti evaporati». Come se il sisma fosse stato un colpo di vento che ha portato via i morti e ha svuotato i vivi.
Il tempo della salita («Tra questi rovi venivo a giocare da piccolo», racconta il marito) è lungo e le pause sono continue. Ogni sosta un ricordo. O un dubbio: «Dove le faccio, ora che non ho più casa, le mie cure della chemioterapia? Sotto le tende?». I Tuccio per il momento sono sfollati da parenti ad Ascoli. Simonetta: «Torneremo mai più a vivere qui?». Il marito: «No«. «E il funerale di Andrea dove lo faremo, a Roma insieme a tutti gli altri?». «Non lo so», le risponde Alessio porgendole il braccio. Si riprende l'arrampicata. «Mamma vuoi mangiare un biscotto?», le dice la figlia che fa da apripista. «Adesso non mi va», è la replica della madre, «sennò portano Andrea via dall'obitorio e poi chissà quando lo potremo vedere». Volano elicotteri sopra gli alberi di questo sentiero, portano salme e prendono salme. Le scosse del sisma continuano ma per fortuna, in mezzo a questo ripido boschetto non si avvertono. Se Simonetta le sentisse, comunque non interromperebbe la sua marcia.
 

IL CAMPANILE CHE BARCOLLA
Finalmente, si arriva in cima. All'ingresso, molto secondario, della città crollata. Il campanile che sta in piedi per miracolo, ma scossa dopo scossa barcolla sempre di più, è a pochi passi dalla fine del sentiero. Lì sotto c'è un uomo della Protezione civile. Viene raggiunto. Chiama i medici per soccorrere Simonetta, arrivata stremata sulla vetta ma ancora manca un chilometro per arrivare all'obitorio fatto di tende. Arrivano due infermieri, visitano in mezzo alla polvere della città fantasma questa madre in viaggio verso il figlio, fanno arrivare una sedia a rotelle e Simonetta ci si siede. Mentre la psicologa dell'emergenza, a sua volta convocata, le dice: «Signora, deve razionalizzare». Lei risponde soltanto: «Sto per vedere Andrea». La psic: «Ma è stato identificato suo figlio? La pratica è un po' dura. Le faranno vedere centinaia di foto e lei dovrà indicare qual è quella della sua persona cara. Se la sente?». Simonetta risponde accennando soltanto un sorriso malinconico.
La colonna dei Tucci si avvia, su quel che resta del marciapiede, verso il deposito delle salme. Simonetta non vuole arrivarci in carrozzella. Scende un po' prima ed eccola in mezzo agli altri parenti che visitano i propri defunti. Ma le buste che li contengono non si possono più aprire, perché è cominciata la decomposizione. A Simonetta non resta che accarezzare il suo Andrea attraverso la plastica: «Ma ne è valsa la pena».
 
Ultimo aggiornamento: Domenica 28 Agosto 2016, 13:50