Antonio e Mario: la prima coppia gay italiana a sposarsi, all'estero - L'intervista

Antonio e Mario: la prima coppia gay italiana a sposarsi, all'estero - L'intervista

di Bianca Francavilla
Antonio e Mario: sono la prima coppia italiana omosessuale che si è sposata. Chiaramente all'estero. Uno di Latina, l'altro del Venezuela. Ora vivono entrambi nella città pontina, che definiscono intrappolata nella sua storia ma avanti, molto più avanti di molte altre località.

Quando è iniziata la vostra storia?
«Ci siamo sposati in Olanda il primo giugno del 2002. Siamo stati dei precursori del matrimonio gay. L'Olanda era l'unico paese che apriva le porte alle coppie dello stesso sesso e noi siamo stati i primi italiani a provarci. Dopo il matrimonio siamo tornati in Italia e abbiamo avviato la richiesta di trascrizione nel Comune di residenza: Latina. La trafila che seguono le coppie eterosessuali che celebrano i matrimoni all'estero e vogliono che siano riconosciuti in Italia».

E come è andata?
«Ovviamente la risposta fu negativa. O meglio: per onor della cronaca bisogna ammettere che il Comune chiese parere al Ministero dell'Interno che diede il diniego giudicando la nostra unione “contraria all'ordine pubblico”. Nessuna trascrizione, dunque».

Vi siete arresi?
«Assolutamente no. Da lì è iniziata la nostra battaglia e abbiamo cominciato l'iter in Tribunale. Nel 2004 ci fu il processo in primo grado al Tribunale di Latina che negò la trascrizione e confermò la contrarietà all'ordine pubblico della nostra unione. Addirittura dissero che il nostro matrimonio era “inesistente”. Sono così buffe le espressioni che la legge ha utilizzato con noi in questi anni».

Ma una luce c'è stata.
«Nel corso dell'iter processuale, ci fu la sentenza della Corte di Cassazione del marzo 2012, che ha creato dei precedenti dal punto di vista del diritto perché ha stracciato la sentenza di primo grado del Tribunale di Latina definendo il matrimonio “esistente”. In pratica, non si può considerare non inesistente un matrimonio valido per uno stato membro dell'unione europea. Ma anche la Cassazione non trascrisse il matrimonio perché mancava una legge di riferimento. L'unica cosa da fare era rivolgersi al Tribunale ogni qual volta che un diritto ci veniva negato. Da lì abbiamo fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e siamo ancora in attesa di una sentenza definitiva».

Come si è dimostrata la vostra città nel corso della battaglia che avete portato avanti?
«L'abbiamo ribadito in ogni sede possibile: durante le interviste ai giornali, in televisioni, nelle piazze. Rispetto alla nostra esperienza, Latina si è dimostrata avanti, molto più di quello che si può immaginare da come viene dipinta da fuori. La prova è stata il fatto che abbiamo vissuto la nostra storia e la nostra battaglia per la trascrizione del matrimonio pubblicamente ed abbiamo sempre percepito sostegno e solidarietà. Latina è prigionera dell'etichetta di città del Duce, ma è molto di più».

Cosa ha rappresentato per voi il Lazio Pride che si è svolto in città?
«La rottura di un tabù. Sembrava ci fosse un sostrato intorno a Latina, una città dove la maggior parte dei candidati Sindaci aveva firmato un documento a favore della famiglia tradizionale, forse per raccattare un po' di voti. La vittoria del civico Damiano Coletta ha dimostrato che la città si è evoluta e modernizzata. Così come la discreta manifestazione che si è tenuta sabato sul lungomare di Latina ha dimostrato a tutti coloro che puntavano il dito definendola una “pagliacciata” che erano vittime di pregiudizi. È stata una manifestazione normale, e questo la rende una giornata storica».

Cosa vi sentite di dire ai tanti giovani che erano in piazza a manifestare?
«La cosa più bella della giornata è stata vedere tanti ragazzi adolescenti stare in pubblico e manifestare spensierati.
In fondo, il senso della nostra battaglia ancora in corso è proprio questo. Che l'Italia ce lo riconosca o no, noi ci sentiamo sposati da 14 anni e il momento importante del rito del matrimonio con le nostre famiglie, lo abbiamo vissuto. Se continuiamo a lottare per vedere riconoscere i nostri diritti è per tutti i ragazzi che abbiamo visto sabato in piazza. Ci piace pensare che abbiano preso esempio anche da noi e che la nostra battaglia sia servita a qualcosa».

Ultimo aggiornamento: Lunedì 27 Giugno 2016, 16:42
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