Fortuna, è il giorno della verità
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Fortuna, è il giorno della verità oltre l'orrore e i depistaggi

di ​Mary Liguori
Caivano, il Parco Verde e quei bambini abusati. Fortuna. L'apice dell'orrore e il nucleo di una raggiera di storie che il rione ha cercato di ingarbugliare, coprire, «riscrivere». La matassa l'hanno sbrogliata proprio quelle bimbe molestate per anni che avrebbero visto morire la loro amichetta. Se la loro è la voce della verità lo deciderà il processo che oggi il gup sarà chiamato a disporre. A meno di colpi di scena. Udienza preliminare, primo appuntamento in tribunale per Titò Caputo e Marianna Fabozzi, presunti orchi del Parco Verde.
 
 


Lui in carcere con l'accusa di avere violentato Fortuna e di averla uccisa. Lei, per il gip, «colpevole di complicità» sia per l'omicidio, «sapeva e ha taciuto cercando di zittire le figlie», sia per avere silenziato le molestie sulle sue stesse bambine, ad opera del patrigno. Il gup del tribunale di Napoli Nord dovrà decidere se accogliere la richiesta di rinvio a giudizio del pool inquirente diretto dal procuratore Francesco Greco e dall'aggiunto Domenico Airoma. È il primo banco di prova per quel quadro accusatorio messo insieme tra mille tentativi di depistaggio, un coro di menzogne, il sibilo delle minacce. Sullo sfondo uno scenario desolante, spaccato di periferia degradata e ignorata fino al caso tragico della morte della piccola Fortuna Loffredo. Da quel momento sul Parco Verde si sono accesi i riflettori dei media, luci abbaglianti che hanno vivisezionato un micromondo dove la scuola, i servizi sociali, la chiesa cercano come possono di creare alternative alla strada, allo spaccio, allo scippo, alla ricettazione, alla prostituzione. Spesso gli agenti «positivi» volontari riescono dove lo Stato fallisce per resa. È in questa cornice di abbandono e tentativi di recupero svincolati dalle istituzioni che sono maturati i fatti oggetto dell'udienza preliminare di oggi. L'omicidio e la violenza sessuale su Fortuna.

Caputo e la Fabozzi alla sbarra. Contro di loro i racconti delle tre figliolette di lei, ma anche le incongruenze nei loro interrogatori, quel 21 giugno di due anni fa, con la donna e sua madre impegnate a zittire la maggiore delle bambine, l'amica del cuore di Fortuna, la piccola abusata a sua volta che, dopo l'arrivo in casa famiglia, dove è stata mandata con le sorelline quando le maestre si sono accorte che erano state molestate, ha raccontato una storia che si è trasformata in un'ordinanza di custodia cautelare spiccata solo nella primavera scorsa. Righe che grondano orrore quelle trascritte, in seconda battuta, anche durante l'incidente probatorio, esame irripetibile al quale le piccole sono state sottoposte con tutte le cautele del caso, nell'estate scorsa. Il fascicolo verrà esaminato dal gup che deciderà se rinviare a giudizio Raimondo, detto Titò, e Marianna. Loro che, in questi mesi, non si sono traditi. Tutt'altro. Lei difende il suo uomo. Lui respinge le accuse. Si trincerano dietro la loro verità, senza retrocedere. Intanto la sorella di Titò, da Secondigliano, aggiunge un altro terribile macigno su quel sepolcro di accuse. «Marianna ha ucciso anche Antonio, suo figlio, l'ha gettato di sotto». Parco Verde, due anni prima dell'omicidio di Fortuna. Il piccolo Antonio Giglio vola giù dalla finestra della cameretta. Il caso chiuso in poche ore: incidente. Neanche l'autopsia sul corpicino del bimbo. «Guardava un elicottero in bilico su uno sgabello, si è sporto ed è caduto», disse Marianna Fabozzi. «L'ha spinto di sotto», dice invece sua cognata. Il fascicolo è a Napoli. Indaga anche la sezione reati sessuali della procura partenopea. L'unica «indiziata» è la Fabozzi. Ma la verità, quella giudiziaria, qui è ancor più lontana che dal caso Fortuna.

Le «nebbie» del Parco Verde, le bugie raccontate da una decina di persone ascoltate nel corso delle indagini potrebbero aver sepolto per sempre la verità sulla morte di Antonio. I protagonisti sono gli stessi, ma per le false informazioni non ci sarà alcun processo. Non ancora. Le sorti di chi avrebbe mentito per coprire gli orchi o anche solo per «spirito» di ribellione verso lo Stato, da queste parti lontano e nemico, le sorti, ancora, della donna che fece sparire la scarpetta di Fortuna, si decideranno all'esito dell'eventuale dibattimento «madre», quello che vede imputati Caputo e la Fabozzi. Solo dopo una sentenza di primo grado sarà possibile processare gli indagati per i presunti depistaggi. Ma questa è un'altra storia, benché emblematica dell'humus dentro il quale è maturata la tragedia che ha sconvolto l'Italia, accendendo gli appetiti morbosi che sempre contornano vicende di questo tipo. Oggi, al tribunale di Napoli Nord si mette un primo punto fermo alla tragedia del ghetto che improvvisamente è diventato oggetto d'interesse nazionale. Il Parco Verde, dove gli omicidi di camorra a un certo punto non hanno più «fatto» notizia. Case popolari impilate come scatole dove, nei mesi successivi gli arresti di Marianna Fabozzi e Titò Caputo, si sono levati anche gli scudi dell'indignazione. «Non siamo tutti pedofili», «Non sappiamo cosa accadeva in quella casa»: la «difesa» del Rione, generica e motivata. Solo dopo il trasferimento della Fabozzi in carcere, dopo un periodo ai domiciliari, qualcuno ha iniziato a definirla un tipo «strano». Alla testa del gruppo, il suo ex compagno, il padre di Antonio Giglio, che ne parla come di «una sbandata», «neanche ai funerali del nostro piccolo mi fece andare». Tolto il coperchio, il vaso di Pandora ha iniziato a vomitare una pluralità di storie, tra il verosimile e l'incredibile, incluse quelle di altri presunti abusi su minori. In questo scenario, le solo cristallizzate sono le imputazioni a carico di Caputo e della Fabozzi.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 21 Settembre 2016, 09:37
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