Quando i militari dell'Arma hanno fatto irruzione nella casa, la luce era spenta, la tv accesa e lui, a torso nudo, gli auricolari nelle orecchie per ascoltare la telecronaca della partita. Sorpreso dall'essere stato individuato, non ha opposto resistenza all'arresto che - ironia della sorte - gli ha fatto pure perdere il gol della vittoria. Nel 2011 l'operazione 'Minotaurò aveva portato in carcere 150 persone ritenute affiliate alle cosche della 'ndrangheta. I processi, negli anni successivi, si sono conclusi con una novantina di condanne definitive. Tra queste anche quella di Femia, che deve scontare sette anni, quattro mesi e 21 giorni per rapina, detenzione di droga a fini di spaccio e violazione delle norme sulle armi.
Ma lui, torinese ritenuto organico alla 'ndrina di Gioiosa Ionica, in carcere non voleva andarci. È ritenuto dagli investigatori un abbonato alla latitanza: nella maxi-operazione sfuggì alla cattura e fu arrestato solo a marzo 2013 in valle di Susa. Restò in carcere per otto mesi, dopodiché venne assolto in primo grado e il tribunale ne ordinò la liberazione. La sentenza d'appello ribaltò il verdetto di primo grado e la Corte di Cassazione, lo scorso 12 maggio, confermò le pene. Alla lettura del verdetto definitivo, però, lui si era già reso irreperibile. Si era rifugiato in quell'appartamento messo a disposizione da un suo conoscente di 26 anni, denunciato per favoreggiamento.
A casa di quest'ultimo i carabinieri hanno trovato i giornali che parlavano delle condanne di 'Minotaurò: per gli investigatori non poteva non sapere chi fosse il suo inquilino.
Per individuarlo i carabinieri hanno seguito una sim, trovata nel cellulare del latitante e intestata a un romeno morto da due anni. «L'arresto di Femia - commenta il sottosegretario Dorina Bianchi - è un nuovo successo dello Stato e l'ennesimo duro colpo inferto alla 'ndrangheta. Lavoriamo per avere sempre più Stato e sempre meno illegalità».
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 29 Giugno 2016, 22:46
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