Biotestamento, divieto di accanimento: il paziente potrà abbandonare le terapie

Biotestamento, divieto di accanimento: il paziente potrà abbandonare le terapie
Il paziente avrà il il diritto di abbandonare le terapie. Lo stabilisce l'emendamento della commissione al ddl Biotestamento che sopprime il sesto comma del primo articolo del testo. Il comma eliminato prescriveva che «Il rifiuto del trattamento sanitario indicato dal medico o la rinuncia al medesimo non possono comportare l'abbandono terapeutico. Sono quindi sempre assicurati il coinvolgimento del medico di famiglia e l'erogazione delle cure palliative». L'emendamento della commissione è passato a larghissima maggioranza: i voti a favore sono stati 360, 21 i contrari e due astenuti.

«Il medico - recita l'emendamento approvato - è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico assistenziali». La relatrice Donata Lenzi (Pd) ne ha spiegato la ratio, ammettendo che l'emendamento era stato uno dei più discussi e sulla quale la commissione non era riuscita a trovare un punto di incontro. «Staccarè un paziente da una macchina - ha detto - richiede al medico un comportamento attivo, qualcosa che va oltre l'astensione». «Con questa norma, se il medico ritiene che una certa decisione vada contro le sue convinzioni, allora il medico può dire 'mi astengò e, come stabilisce il codice deontologico, deve continuare a farsi carico delle cure del paziente, fino a che non arrivi un collega a sostituirlo. Non possiamo puntare il fucile alla tempia del medico e imporgli di staccare il paziente dalla macchina». 

«Non è neanche vero - ha continuato Lenzi - che la struttura sanitaria non sia obbligata a dare seguito alle volontà del paziente, perché il comma 10 dell'articolo 1 dice chiaramente che le strutture devono dare piena attuazione alla legge e dovendo dare piena attuazione alla legge, le strutture sono chiamate a trovare una 'risposta attivà», affinché la volontà del paziente sia rispettata. «Quello che noi non abbiamo voluto fare è una scelta esplicita che preveda un meccanismo analogo a quello della legge 194, con gente che prima ancora di trovarsi davanti al caso concreto anticipa già quello che farà, elenchi di persone disponibili o non disponibili, perché quel sistema ha mostrato di avere grandi limiti e che quindi non voglio si riproduca.
In questo campo più di tutti gli altri, ogni scelta del medico e del paziente, rappresentano, hanno una loro storia», ha concluso Lenzi.


Il ddl - il cui esame è iniziato ad aprile, con varie interruzioni - resta di scottante attualità dopo i casi di eutanasia assistita in Svizzera da parte di cittadini italiani aiutati da dirigenti dell'Associazione Coscioni. Nella maggioranza è emersa la contrarietà dei deputati di Ap (tranne l'ex socialista Fabrizio Cicchitto, favorevole anche al suicidio assistito). Perplessi anche alcuni cattolici del Pd. Ma il disegno di legge potrebbe passare con i voti dei cinque stelle. Restano ancora da votare un centinaio di emendamenti, anche se i tempi per intervenire stanno per esaurirsi. Il ddl, di 5 articoli, prevede che per depositare le proprie disposizioni sul fine vita ci si dovrà rivolgere a un notaio o pubblico ufficiale, ma sarà possibile farlo anche davanti a un medico del Servizio sanitario nazionale. Le volontà sono sempre revocabili ed ognuno potrà disporre il rifiuto dei trattamenti sanitari, incluse la nutrizione e l'idratazione artificiali.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 19 Aprile 2017, 14:30
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