A San Pietro è stata predisposta
​la tomba per il prossimo Papa defunto

A San Pietro è stata predisposta la tomba per il prossimo Papa defunto

di Franca Giansoldati
Città del Vaticano Naturalmente il lavoro che è stato ultimato in questi giorni nelle Grotte Vaticane  è scaramantico. A Napoli non avrebbero dubbi sul fatto che l’avere preparato la tomba del prossimo Papa è uno strumento che rafforza la vita e non sottrae nulla ai viventi. Una squadra di operai ha appena terminato, sotto la basilica di San Pietro, dove sono sepolti i pontefici, un nuovo sarcofago di marmo che sarà destinato al prossimo pontefice. Si tratta di  un blocco massiccio di pietra candida, per ora senza iscrizioni, che mostra agli angoli dei bassorilievi riproducenti colonne ornate di capitelli. Al momento i pontefici che vivono in Vaticano sono due, uno regnante, Bergoglio, 79 anni e in perfetta salute, e l’altro emerito, Ratzinger, 88 anni, ultimamente indebolito fisicamente e con il bastone ma, a detta di chi lo ha incontrato recentemente, assai reattivo e presente di spirito, interessato a intrattenersi con i suoi (rari) ospiti.
 
Non c'è «nessun mistero» dietro l'installazione di questa tomba, ha commentato padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana: «È necessario prevedere che nelle Grotte vaticane vi siano posti per tombe negli anni futuri. Vi era solo una cappella libera e quindi era saggio prevedere anche altre possibilità». Il tabù della morte in Vaticano è stato sdoganato da Francesco in diversi momenti. Spesso, alle udienze, ci scherza sopra. Un po’ di tempo fa  ad una radio argentina che gli chiedeva a bruciapelo "come e dove le piacerebbe morire", replicava così: "Dove Dio chiede, seriamente, e quando Dio chiede. Quando ero più giovane la immaginavo più noiosa - ha replicato ridendo, interpellato sulla eternità - Ora penso che sia un mistero di incontro. E così inimmaginabile, però deve essere molto bello, molto felice, incontrarsi con il Signore".
 
Un’altra volta ne ha parlò della morte come esperienza quotidiana, che tocca chiunque, poveri e ricchi, giovani e vecchi. La livella, diceva Totò.  “L’accettazione sociale del lutto è diminuita al punto si vive nell'illusione di essere immortali. E la maggior parte dei genitori preferisce non affrontare l’argomento con i bambini, almeno fino a quando è possibile tenerli all’oscuro nel tentativo di proteggerli dal dolore o dalla necessità di confrontarsi con la perdita, anche se così facendo si obbliga sé stessi e gli altri a vivere la morte nel silenzio. Un dramma nel dramma. Bergoglio è partito proprio da questa riflessione e, parlando della potenza di Gesù sulla morte, ha invitato ad accoglierla come parte della vita, come «una esperienza che riguarda tutte le famiglie».

«Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte, che si porta via il figlio piccolo o giovane, è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tutta la famiglia rimane come paralizzata, ammutolita».

A chi vive un lutto, doloroso e lacerante, dunque, non «si deve negare il diritto al pianto». Il Papa ha incoraggiato i preti, ma anche, in generale, i credenti, ad esprimere «in modo più concreto il senso della fede nei confronti dell’esperienza famigliare del lutto. Non si deve negare il diritto al pianto: anche Gesù scoppiò in pianto e fu profondamente turbato per il grave lutto di una famiglia che amava (Gv 11,33-37). Possiamo piuttosto attingere dalla testimonianza semplice e forte di tante famiglie che hanno saputo cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti».

Alla morte fisica, Bergoglio ha associato dei “complici”, elementi che «si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia; insomma, il peccato del mondo – ha detto - che lavora per la morte e la rende ancora più dolorosa e ingiusta. Gli affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo. Pensiamo all’assurda normalità con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani. Di fatto la morte non ha l'ultima parola. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore. Dio mio, rischiara le mie tenebre».
 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 16 Marzo 2016, 19:38
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