Il piano del governo per il lavoro: ecco come cambiano regole e welfare

Il piano del governo per il lavoro: ecco come cambiano regole e welfare

di Michele Di Branco
Giurano gli uomini della cerchia pi stretta che quando Renzi parla di riscrittura dello Statuto dei lavoratori non ha in mente lo smantellamento del testo firmato a quattro mani da Brodolini e Giugni: l'impianto scritto nel '70 non corre rischi. E tantomeno corre rischi la madre di tutte le norme: l'articolo 18. Quello, sia chiaro, non si tocca nella parte che riguarda chi è già nel mondo del lavoro. Aprire uno scontro con i sindacati e spaccare la maggioranza è l’ultima cosa della quale si sente il bisogno in questa fase delicata. Quel che ha in mente Renzi, dettano i collaboratori che gli sono vicini, sta scritto nero su bianco nei 5 articoli della delega che Palazzo Chigi punta ad accelerare e a far approvare dal parlamento entro fine settembre. Un timing necessario a far partire i decreti delegati non più tardi della conclusione dell'anno per arrivare così al completamento della Jobs act non oltre marzo 2015. Insomma, nessuno nel governo ha intenzione di prendere carta e penna per cambiare ad uno ad uno gli articoli dello Statuto come pretende il ministro degli Interni Angelino Alfano che sul tema ha riaperto il fronte all’improvviso e un pò a freddo. «Quelle sono dispute ideologiche arcaiche tra destra e sinistra e non ci interessano» spiegano gli uomini del premier.





LA FLESSIBILITA’ INCENTIVANTE

I quali disegnano invece un progetto molto più articolato ed ambizioso. Con la riforma del lavoro si punta a quella che viene definita «flessibilità incentivante». Un principio possibile grazie alla semplificazione ed alla riduzione dalle decine di forme contrattuali esistenti ad un massimo di 5 o 6. Tra le quali il perno (oltre all'apprendistato e al contratto a termine già in vigore) è il contratto a tutele decrescenti. Una forma di assunzione che congela, quella sì, l'articolo 18 (ma restano le garanzie contro l'allontanamento discriminatorio) per tre anni per i nuovi ingressi. Ma che, secondo Renzi, rappresenta un buon compromesso («Confindustria accetterà questa impostazione» si confida ) tra la necessità di tutelare il lavoratore e l'esigenza di lasciare le mani libere agli imprenditori. I quali potranno, nei primi tre anni dopo l'assunzione, licenziare il lavoratore salvo corrispondergli una serie di indennizzi (tra i quali 2 giorni di paga per ogni mese di lavoro ) parametrati alla durata dell'impegno maturato in azienda.




Ultimo aggiornamento: Mercoledì 13 Agosto 2014, 10:22