Napoli. «Vogliamo giustizia per Ciro», la sfida di Ponticelli ai clan

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di Mariagiovanna Capone
Angeli e demoni, speranza e rassegnazione, vita e morte. Il Lotto O di Ponticelli è un purgatorio circondato di asfalto e cemento dove il male spicca violento e il bene è quasi sempre nascosto, dentro le confortanti mura di casa, della chiesa o di qualche associazione. Eppure qui ieri in cinquecento sono scesi in strada in memoria di Ciro Colonna, diciannove anni appena, la vita spezzata martedì scorso da un commando che aveva come obiettivo Raffaele Cepparulo, capo dei barbudos del rione Sanità. Una vita cristallina e limpida quella di Ciro. Già un miracolo per chi vive tra questi palazzoni.

La marcia si muove davanti la chiesa di San Francesco e Santa Chiara, a cento passi dal circolo ricreativo abusivo dove è morto. Almeno un centinaio quelli che indossano la maglietta con il sorriso del ragazzo e la scritta «Non spegni la luce se gli spari» e stringono le fiaccole. Donne e bambini soprattutto, mentre anziani e uomini si affacciano al balcone e non si capisce se in strada non ci sono venuti perché stanchi di manifestare o perché non gliene frega niente.

«Per mio figlio Genny hanno marciato in 11mila. Dopo di lui sono morte altri innocenti e tanti pensano: a che serve?. Qui oggi credo ci siano quelli che si indignano ancora, ma altri sono scoraggiati, delusi e rassegnati» spiega Antonio Cesarano. Il dualismo del quartiere lo sintetizza bene il papà del 17enne ucciso in piazza Sanità a settembre. Da quella morte è nato Un popolo in cammino e una serie di iniziative che hanno portato una fievole speranza. «Alla Sanità non si erano mai viste tutte queste belle iniziative e ne faremo molte insieme, per allontanare questi ragazzi dalla delinquenza basta poco: un campetto e un pallone». Ma su un punto Antonio Cesarano è irremovibile: «Siamo colpevoli anche noi per questa morte innocente. Siamo colpevoli tutti se è accaduto ancora. Ma prefetto e questore dovrebbero dimettersi. Proprio perché è successo ancora. Non ci facciamo più illudere dalle promesse, vogliamo i fatti».

Antonella Leardi, madre di Ciro Esposito, dispensa abbracci e non perde il suo ottimismo: «Esserci è importante. Siamo qui per confortare le persone distrutte dal dolore, ma allo Stato spetta il compito di tutelarci, proteggerci. Basta con le parole, servono i fatti». Mentre sfila il corteo, tre persone fermano la piazza di spaccio per qualche minuto. Giusto il tempo di farlo girare l'angolo e riprendere.
Occhi gonfi e stremati dal dolore arrivano al corteo anche i genitori del 19enne. Mamma Adelaide si appoggia al marito Enrico, parenti e amiche la confortano con carezze, qualcuna non riesce a sopportare quella maschera di dolore e scoppia in lacrime. «Dovrei dare forza a loro, ma non riesco. È insopportabile, inaccettabile. Provo tanta rabbia e paura, mio figlio era amico di Ciro, potevo esserci io al loro posto». La sorella Mariarca pian piano ritrova l'orgoglio di mostrare la sua forza interiore. Negli occhi limpidi c'è tutta la voglia di riscatto e giustizia per il fratello ucciso barbaramente e di un intero quartiere. «Ringrazio molto tutti coloro che sono scesi in piazza. È un gesto importante per noi» riesce a dire guardando le centinaia di persone che stanno partecipando alla marcia e mentre gli amici liberano le lanterne cinesi con messaggi per l'amico. «È una risposta bellissima. Ponticelli c'è» le fa eco papà Enrico aggiungendo «domani, parleremo domani con più calma».

Aprono loro il corteo, resistono a una sofferenza che spacca il cuore e annienta le menti. E a ogni passo trovano la forza per continuare, per andare avanti, per credere che la morte di Ciro possa servire a qualcosa.
Tra la folla di manifestanti moltissimi abitanti del rione Sanità coinvolti nell'associazionismo e il neo presidente della Municipalità 3 Ivo Poggiani, i ragazzi di Libera, della comunità di Sant'Egidio, padre Alex Zanotelli, il vicesindaco Raffaele Del Giudice, Alessandra Clemente, i Verdi con Francesco Borrelli e Marco Gaudini. Ma c'erano soprattutto loro, gli abitanti del Lotto O, bambine sorridenti con il rossetto fucsia, adolescenti con i tatuaggi, mamme giovanissime. Una comunità quasi tutta al femminile, con l'eccezione del gruppo di amici di Ciro Colonna che negli occhi hanno ancora le immagini spietate di una settimana fa. «Dovete manifestare tutti i giorni per questi morti» urla dal megafono un attivista di Libera. «Non tutti sono angeli» replica una donna sottolineando che i morti non sono tutti uguali. Mentre attraversano i palazzoni di cemento l'attivista affida la bandiera a uno di loro. Pochi istanti e una donna gliela strappa di mano ridandola al proprietario in quello che sarà l'unico momento di tensione. «Qui noi ci viviamo. Siamo in strada per manifestare in nome di Ciro ma non per altri fatti». La bandiera dell'antimafia riassetta gli equilibri. Si era vista troppa speranza. Bisogna tornare in fretta alla realtà della rassegnazione.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Giugno 2016, 22:00
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