Sembrava non dovesse più arrivare, invece il 3° capitolo della trilogia nipponica è tornato

Gabriele Niola
Sono 6 anni che lo aspettiamo ed il 2016 è il suo anno. Last Guardian, il terzo videogame del più rivoluzionario degli autori nipponici, Fumito Ueda, arriva 11 anni dopo il secondo (Shadow of the Colossus), un'attesa quasi ingiusta che è però ricompensata da un gioco fuori da ogni canone. Astenersi abitudinari e amanti della videoludica semplice di facile goduria, Last Guardian è un gioco duro che chiede molto e non ha paura di frustrare il giocatore. Come Ico (primo lavoro di Ueda) ha un protagonista bambino che si sveglia in una specie di castello diroccato, una volta teatro di chissà cosa, e deve uscirne. Nel farlo incontra subito un'altra creatura prigioniera che libera e con la quale cerca la libertà. Come Shadow of the Colossus invece le dimensioni sono una parte centrale, la creatura è infatti una specie di grifone gigantesco da proteggere e da cui farsi proteggere. Come in entrambi un senso di mistero potente e esasperante nel suo svelarsi è ciò che tiene avvinti. Il gioco in sé è una sequenza di stanze e luoghi da attraversare, capendo come giungere in cima o aprire cancelli. Tutto però va fatto assieme ad un animale che in quanto tale non obbedisce agli ordini ma ha bisogno di fidarsi. Siamo abituati a dover contare solo sulla nostra abilità per avanzare nei giochi, qui invece bisogna affidarsi ad un altro essere vivente e farlo muovere o agire in modi diversi, rassegnandosi ad avere a che fare con un amico e non un dipendente, uno che spesso sa essere frustrante e testardo. La ricompensa però è la maestria di Last Guardian nell'accrescere lentamente la fiducia reciproca assieme ad un rapporto sentimentale che, costruito così, non ha paragoni.
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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 7 Dicembre 2016, 05:00