Il rischio del governo tecnico

Alessandra Severini
Il fantasma del governo tecnico si aggira nella campagna referendaria. Il premier Matteo Renzi lo evoca come uno spauracchio: «Se vince il No non solo resterà la Casta, ma potrebbero tornare gli esecutivi alla Monti, subalterni all'Europa». Un messaggio che il presidente del Consiglio spera giunga alle orecchie degli indecisi, ancora moltissimi secondo lui. Perché a sei giorni dall'apertura delle urne la partita è «apertissima e va combattuta dappertutto». «La gente non ne può più di un Paese bloccato, la Corte Costituzionale ci ha impedito di licenziare i furbetti del cartellino», dice con riferimento alla bocciatura della riforma Madia.
Renzi assicura di non voler instillare «paura» negli elettori, ma dice a chiare lettere che una «ricaduta» sul governo col No ci sarebbe. E torna ad avvertire che la «vecchia guardia» sta giocando la partita per «tornare al governo». Per convincere gli indecisi e strizzare l'occhio anche agli elettori del centrodestra Renzi ha annunciato l'arrivo di «kit antibufale» sui social network per «smontare le bugie» diffuse dal fronte del No.
Fa discutere intanto l'endorsement di Jean Claude Juncker al Sì: «Spero non vinca il No», dice il presidente della commissione Ue, assicurando poi di non voler interferire. Ma i sostenitori del No insorgono: «Votano Sì JP Morgan, Goldman Sachs, le agenzie di rating, le consorterie europee e da oggi anche Juncker», attacca Giorgia Meloni.
A Roma intanto migliaia di persone hanno sfilato ieri nel corteo organizzato dai Movimenti contro la riforma costituzionale e contro le riforme «neoliberiste, che hanno fallito» del governo. Oltre cento pullman da circa sessanta città di Italia sono arrivati nella Capitale per un serpentone che ha sfilato in modo sostanzialmente pacifico. Unico momento di tensione in via Venti Settembre, quando, verso la sede della Banca d'Italia, è partito un lancio di uova, seguito da un coro «ladri, ladri».
Anche la Lega è impegnata negli ultimi giorni di campagna elettorale per il No. Ma il Carroccio è scosso dalla feroce critica di Umberto Bossi contro il giovane segretario Matteo Salvini. «La base non lo vuole più, non vuole più uno che ogni giorno parla di partito nazionale. Siamo nati per la Padania - ha ripetuto l'ex leader del Carroccio Finiremmo per essere un partito nazionale fra tanti. Alla base, soprattutto in Lombardia e Veneto, dell'Italia non frega nulla».
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 28 Novembre 2016, 05:00