Haneke processa la borghesia autistica

CANNES - Un nonno depresso, un criceto sotto psicofarmaci, una famiglia sull'orlo di una crisi di nervi e una bambina che riprende tutto con il suo iPhone. Happy End dell'austriaco Michael Haneke, in concorso a Cannes, era dato tra i favoriti: con le due proiezioni stampa praticamente in sold-out - file di ore per entrare e in tanti rimasti fuori - le aspettative erano altissime. E invece, pur contando sulla stessa coppia della Palma d'Oro Amour, Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert («Non serve cambiare - ha detto Haneke in conferenza stampa - quando ti trovi bene con alcune persone») il film delude, stanca, parte a fatica e non decolla mai, rimestando nei temi cari al regista senza aggiungere nulla di nuovo alla sua visione fredda e disincantata delle relazioni umane - famiglie disfunzionali, dissidi intergenerazionali, soppressione della colpa. «Racconto non solo la borghesia - dice il regista del Nastro bianco - Cerco di attraversare la vita con gli occhi aperti e non potevo non parlare della società del nostro tempo, del nostro modo di vivere autistico che ci circonda e ci riguarda anche in prima persona».
Una soap opera psicopatica che è anche metafora della paralisi morale dell'Europa, tra dissidi interni e crisi dei rifugiati, che ritrova corpo e mordente solo negli ultimi minuti, in una scena simbolo della modernità occidentale: il vecchio patriarca che va incontro alla morte in mare, crudelmente filmato dallo smartphone di una bambina di soli 13 anni. (I. Rav.)

Ultimo aggiornamento: Martedì 23 Maggio 2017, 05:00