"Ti resta poco da vivere, facciamo un altro figlio", nascono due gemelli

"Ti resta poco da vivere, facciamo un altro figlio", nascono due gemelli
Quando, nel 2008 e all'età di 34 anni, i medici gli avevano diagnosticato una rara malattia degenerativa che lo avrebbe costretto presto a rimanere paralizzato, a Simon Fitzmaurice erano stati pronosticati circa altri tre anni di vita. L'uomo, all'epoca, era sposato con due figli e in attesa del terzo, ma la terribile diagnosi fece stabilire una cosa a lui e a sua moglie Ruth: avrebbero fatto il quarto appena possibile, prima che la malattia del motoneurone potesse impedirgli ogni movimento. Così è stato, anche se leggermente diverso da come lo avevano immaginato: Ruth rimase incinta di due gemelli.





Come riporta il Mirror, oggi, a distanza di nove anni, Simon è ancora vivo. Un mezzo miracolo, considerando la diagnosi dei medici, ma ormai l'uomo è paralizzato e costretto a vivere su una sedia a rotelle. L'unico movimento che riesce a fare è quello degli occhi, con cui è in grado di comunicare all'esterno attraverso un software hi-tech che traduce in parole i suoi pensieri. Dal giorno in cui scoprì della gravità della malattia, la vita di Simon e quella della sua famiglia cambiò radicalmente, perché l'assistenza che richiede una patologia come quella dell'uomo deve essere totale e continua. I suoi figli più piccoli, racconta la moglie Ruth, sono in qualche modo abituati a vedere il papà costretto all'immobilità su una carrozzella, mentre per il figlio maggiore, che ha 11 anni, è più difficile: «Lui è l'unico che si ricorda del papà in grado di parlare e di muoversi. Non è stato semplice spiegargli che il papà resterà per sempre così e che potrebbe morire. Gli ho detto però che quando verrà il momento sarà il primo a saperlo».





La storia della famiglia Fitzmaurice, inevitabilmente segnata dopo la terribile diagnosi, è così unica da essere diventata un libro, scritto dalla stessa Ruth. La donna racconta com'è vivere accanto a un malato terminale e si sofferma spesso riflettendo su quella che anche lei chiama la 'società del dolore'. Il titolo del libro, 'I Found my Tribe' ('Ho trovato la mia tribù'), è eloquente. «La vita, da allora, non è mai stata facile. Mio marito ha bisogno di assistenza continua, ci siamo ritrovati una casa piena non solo di bambini, ma anche di medici, infermieri, specialisti e tecnici che devono assisterlo 24 ore su 24» - ha spiegato Ruth al Mirror - «La casa all'improvviso era diventata troppo piccola, ci siamo dovuti trasferire anche per garantire una qualità della vita migliore a Simon. Siamo andati a vivere sul mare, il nuoto mi ha aiutato molto anche a trovare la forza di combattere per lui. A volte penso che una persona non meriti di vivere in quel modo, poi mi chiedo 'Davvero voglio che lui muoia? Allora sono un'assassina'. In realtà, però, vorrei solo che non soffrisse, nessuno merita di soffrire così».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 21 Luglio 2017, 14:32
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