Maxim Borodin, giallo sulla morte del giornalista russo che indagava sui mercenari in Siria

Maxim Borodin, giallo sulla morte del giornalista russo che indagava sui mercenari in Siria
La morte di Maxim Borodin continua a innescare interogativi: disgrazia o complotto? Maxim Borodin, 32 anni, giornalista investigativo di Ekaterinburg è precipitato giovedì scorso dal balcone del suo appartamento al quinto piano - ed è deceduto dopo tre giorni di agonia in ospedale - sta scuotendo la Russia. I suoi articoli sulle sorti dei mercenari russi in Siria erano senz'altro scomodi, ma c'è chi lo descrive come un'anima inquieta e dunque l'ipotesi del suicidio potrebbe non essere peregrina.

L'Osce, ad ogni modo, ha espresso «preoccupazione» e ha chiesto che sia fatta piena luce sull'accaduto. Il Comitato Investigativo russo ha riposto disponendo una pre-indagine, precisando però che sta trattando la vicenda come un incidente, senza ravvisare gli estremi di condotta criminale. Stando alle informazioni diffuse dai media, la porta di casa sua sarebbe stata trovata chiusa dall'interno, con un chiavistello, circostanza che confermerebbe l'ipotesi del suicidio.



È anche vero però che Borodin, secondo quanto riferito da un conoscente, era stato ricoverato in ospedale dopo un'aggressione subita il 5 aprile e che due giorni prima dell'incidente aveva chiamato un amico chiedendogli di consigliargli un avvocato poiché nei pressi della sua abitazione aveva visto gli agenti di polizia in assetto antisommossa e si era convinto che stessero per arrestarlo; Borodin, poco dopo, ha richiamato però il suo amico dicendo che si era trattato di un falso allarme, forse solo «un'esercitazione».

Tutti segnali che evidenziano una certa ansia di fondo. Polina Rumyantseva, la direttrice del giornale dove lavorava Borodin, la testata locale Ria Novy Den, ha detto che non aveva dato segni di «tendenze suicide». Di ben altro avviso è Leonid Volkov, braccio destro di Alexei Navalny. «Io conoscevo bene Maxim e mi mancherà», ha scritto sul suo account Facebook.

«Era un giornalista vero che amava raccontare la verità ma che scriveva anche delle stupidaggini».
Secondo Volkov, «il regime è colpevole della sua morte ma non perché lo ha ammazzato», per un molto più generico atteggiamento ostile al giornalismo libero, che riduce le opportunità di lavoro al lumicino. Maxim era dunque depresso per come stava andando la sua carriera, per non essere riuscito a trasferirsi a Mosca (aveva chiesto lavoro anche al Fondo Anti-Corruzione di Navalny ma senza successo). In queste condizioni, conclude Volkov, la «luce in fondo al balcone» diventa «molto attraente».

Ultimo aggiornamento: Lunedì 16 Aprile 2018, 20:41
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