La baia dove muoiono i delfini: le immagini choc della caccia

La baia dove muoiono i delfini: le immagini choc della caccia

di Remo Sabatini
Poco meno di 6km quadrati per 3500 abitanti. Direttamente sul mare, il prezzo di una notte in un tre stelle qualunque, magari con affaccio sulla baia, costa intorno ai 140 euro. Taiji, piccolo paesino della prefettura di Wakajama, nel Giappone del sud, potrebbe essere riassunto così. Se non ci fosse ben altro. Qualcosa che ha a che fare con il mare che bagna quella costa. Qualcosa che ha a che fare con quella baia che si tinge di rosso e che rimbalza l'eco delle grida di uomini e delfini. Gli spruzzi di cacciatori e prede. Perché è proprio grazie alla "tradizionale" caccia ai piccoli cetacei che Taiji è divenuta celebre in tutto il mondo.



Anno dopo anno, infatti, la mattanza dei delfini si ripete. Da settembre a marzo, le piccole imbarcazioni prendono il largo alle prime luci dell'alba per individuare i pod (gruppi) di delfini di varie specie che hanno la sventura di nuotare in quel tratto di mare. Una volta trovati, la tecnica è sempre la stessa, spaventarli e spingerli nelle acque basse della baia dove inizierà la selezione, la cattura, la carneficina. Nel 2009, Ric O' Barry e il regista Oscar Louie Psihoyos, portarono sul grande schermo un film,The Cove, che avrebbe segnato un'epoca. Pluripremiato (ebbe ad aggiudicarsi anche un Oscar) denunciò la mattanza nella baia di Taiji. Quelle immagini drammatiche colpirono nel segno, tanto che gli stessi giapponesi, ne rimasero turbati. Delfini arpionati, cuccioli separati dalla famiglia e quella baia blu che diventava rossa non avrebbero potuto lasciare indifferenti. E poi, carne di delfino venduta al supermercato o servita nelle mense scolastiche? In Giappone, grazie a quel film, ci fu una mezza rivoluzione. Tra l'altro, le altissime concentrazioni di mercurio, che quella carne contenevano, sarebbero state una motivazione in più per evitarne il consumo.



Ric O' Barry e il suo film, ebbero un altro grande merito, il mercato dei cuccioli, destinati ai delfinari di tutto il mondo fu svelato in tutta la sua drammaticità. Così, finalmente, fu chiaro che quei piccoli, catturati e trafugati di gran carriera, portati in luoghi segreti e lontano da occhi (e telecamere) indiscreti, sarebbero stati tramutati in oro. Affidati, all'istante, alle "amorevoli" cure di pseudo addestratori, sarebbero stati venduti per centinaia di migliaia di dollari, ognuno. Destinazione? Delfinari, nazionali e internazionali.  
D'altronde, di delfinari, O' Barry ne sa qualcosa. Lui stesso, negli anni sessanta, era divenuto celebre come addestratore per la serie televisiva denominata Flipper. Poi, un giorno, capitò che uno dei suoi piccoli delfini, gli morì praticamente tra le braccia. Da quel momento la sua vita sarebbe cambiata e iniziò la sua battaglia di salvaguardia. Una battaglia che prosegue ancora oggi. Il suo Ric O' Barry Dolphin Project, autore di video e foto che pubblichiamo, è presenza costante a Taiji, così come prosegue la Campagna contro la detenzione di animali nei delfinari.



E allora, a pochi giorni dalla chiusura della stagione di caccia al delfino 2017/2018 ecco qualche numero di quella che è stata l'ennesima strage annunciata. Una carneficina che, ad oggi, conta circa 800 esemplari di piccoli cetacei, di sei specie differenti, sospinti nella baia. Dei 613, di questi, che sono morti, trucidati e macellati o per cause dovute alle cruente operazioni di cattura. Di 95 "fortunati", catturati per il business legato alla cattività. In Europa, sono detenuti 305 cetacei. Di questi, circa un terzo è rappresentato da animali catturati in natura. 
Ultimo aggiornamento: Martedì 27 Febbraio 2018, 17:58
© RIPRODUZIONE RISERVATA