Riforme, caos al Senato e seduta sospesa.
Renzi: "No alla dittatura delle minoranze"

Riforme, caos al Senato: seduta sospesa. Renzi: "Non molliamo"
ROMA - Trattativa fallita: la mediazione proposta dai dissidenti Pd per sgombrare i binari delle riforme dall'ostruzionismo, si infrange sul no di Sel. E l'Aula del Senato si trasforma in una trincea. È battaglia emendamento su emendamento, ci si sfida a colpi di regolamento e ci si scambia accuse pesanti. «Sel non si piega ai ricatti del governo», proclama Nichi Vendola. E il Pd, che assicura a sua volta di non voler cedere al «ricatto» dell'ostruzionismo, minaccia la fine dell'alleanza politica. M5S e Lega sono con Sel sulle barricate, mentre il presidente Pietro Grasso a fatica fa procedere le votazioni.



Che si possa concludere entro l'8 agosto è ora molto più difficile: «Si va avanti, anche dopo», assicura il governo. E Matteo Renzi entra a gamba tesa sui senatori 'frenatorì: «Perdono tempo per paura di perdere la poltrona». Poi, in serata, dice ai suoi: «Andiamo avanti determinati». La mattinata inizia sotto buoni auspici. «Ieri siamo andati a dormire con un accordo fatto», racconta il sottosegretario Luciano Pizzetti. Al termine di una riunione con i 'frondistì della maggioranza e i partiti di opposizione, Vannino Chiti sembra aver registrato un'intesa attorno alla sua mediazione. Una proposta di metodo: cancellare gran parte degli emendamenti, enucleare i temi del confronto (Senato elettivo incluso), votare gli emendamenti rimasti entro l'8 agosto, per poi aggiornarsi a settembre per il voto finale.



A inizio seduta Chiti si alza a formulare la sua proposta, a nome dei dissidenti della maggioranza, e il capogruppo Pd Luigi Zanda plaude. A quel punto Pd e governo si aspettano (da «copione») che Sel prenda subito la parola per dire che accoglie la mediazione. Ma così non accade. Interviene FI per dire che non ha nulla in contrario alla proposta Chiti, purchè si resti nell'alveo del Patto del Nazareno. Lega e M5S dicono che per loro non c'è «nessun accordo». E solo dopo si alza la capogruppo di Sel Loredana De Petris ma per scandire un no: il Patto del Nazareno è un «convitato di pietra», dice, e Sel ha «amplissima disponibilità» al confronto ma non si accontenta di «una settimana in più». A quel punto Zanda proclama che la mediazione è fallita.



Il Pd neanche vorrebbe la convocazione dei capigruppo, ma Grasso acconsente alla richiesta dell'opposizione e mette sul tavolo una estremo tentativo di mediazione: accantonare i primi due articoli del testo, quelli che contengono i nodi più spinosi, per avere più tempo per cercare un'intesa. Ma per governo e maggioranza non ci sono più margini. A maggior ragione dopo che Nicola Fratoianni, in una conferenza stampa di Sel, proclama che «non è ricevibile» il «ricatto» di Renzi che chiede di ritirare gli emendamenti ostruzionistici mentre «continua ad offendere».



Dopo una lunghissima mattinata e una riconvocazione della capigruppo, Grasso alle 15 in Aula comunica «con rammarico» che la mediazione è fallita. E si riprende a votare dove si era interrotto, praticamente dall'inizio. Con davanti una mole di 8000 emendamenti da smaltire. E subito il concreto pericolo che l'intera riforma (e forse lo stesso governo) salti sotto i colpi dei franchi tiratori, se Sel riuscisse a far votare un suo emendamento per il Senato elettivo con il voto segreto.



Il compassato emiciclo di Palazzo Madama diventa una polveriera. Grasso tiene il punto: farà votare a scrutinio segreto, come annunciato, solo le parti degli emendamenti che riguardano le minoranze linguistiche. «Non si può, non si può», gridano a più riprese M5S, Lega e Sel. Per tre ore va avanti un lungo braccio di ferro a colpo di tattiche d'Aula: emendamenti ritirati, sottoscritti, votati per parti separate. Poi si vota. Viene approvato quasi all'unanimità una proposta Pd sulla parità di genere, mentre col voto segreto viene bocciato un emendamento Sel sulle minoranze linguistiche. A voto palese, invece, vengono bocciate le proposte di Sel per la riduzione dei deputati e per il Senato elettivo.



A quel punto Grasso fa scattare il «canguro», la norma per cui bocciato un emendamento si considerano preclusi tutti gli emendamenti analoghi.
E così «saltano» in un colpo solo 1400 emendamenti all'articolo 1 e , secondo il Pd, anche quelli sul Senato elettivo. «Con calma, andremo avanti», anche dopo l'8 agosto, «perchè gli italiani ci hanno chiesto di cambiare», ostenta tranquillità il ministro Boschi, mentre tra le fila del governo si commenta lo scampato pericolo. «Discutiamo ma non ci facciamo ricattare» dall'ostruzionismo, torna a ribadire Renzi: «Le sceneggiate di oggi dimostrano che alcuni senatori perdono tempo per paura di perdere la poltrona». «Il canguro funziona, siamo a una quarto degli emendamenti, andiamo avanti determinati», commenta in serata con i suoi. Mentre ci pensa il sottosegretario Luca Lotti a mandare un avvertimento a Sel: quanto avvenuto oggi «preclude ogni alleanza futura».




RENZI: NO A DITTATURA MINORANZA Stamattina, nell'aula di Palazzo Madama, doveva andare in scena un copione scritto: Vannino Chiti avanzava la mediazione, Loredana De Petris di Sel accoglieva il «lodo» e Luigi Zanda applaudiva all'intesa trovata. Ed, invece, si è visto tutt'altro film. Ed ora, ad oltranza, senza vacanze nè pause, si andrà avanti per approvare la riforma del Senato.



«Vendola voleva un riconoscimento da Renzi che non c'è stato», è la spiegazione che fonti di governo danno dell'accordo saltato all'ultimo minuto. E che ora vede il premier ancora più determinato a «non mollare» perchè il governo non accetta «i ricatti di chi ha paura di perdere la poltrona».



Matteo Renzi non ha voluto andare di persona a guardare la battaglia che da oggi si è ufficialmente aperta in Senato. Ha ricevuto dalla nazionale azzurra di scherma una sciabola ma ha preferito non usarla. Ma la presenza, nel Transatlantico di Palazzo Madama, degli uomini più vicini al premier spiegava molto dell'urgenza del momento e della volontà di fare squadra contro «i guastatori»: oltre al portavoce Filippo Sensi, hanno fatto capolino in Senato i sottosegretari Luca Lotti e Graziano Delrio.



Lotti, uomo di poche parole ma definitive, si è scagliato contro Sel, minacciando le alleanze future con Sel che potrebbero saltare alle prossime regionali, in Calabria come in Emilia Romagna. «Avevamo fatto una proposta di mediazione, ci aspettavamo un segnale ed invece non ci si può fidare», è la lettura dei renziani. Che raccontano come a far saltare la pulce al naso del leader di Sel Nichi Vendola sia stata la mancata chiamata di Matteo Renzi, «un'agibilità politica» al governatore pugliese che il premier, senza badare alle diplomazie, non ha voluto concedere prima di veder ritirati gli emendamenti. Per questo il rottamatore si è ulteriormente convinto che l'ostruzionismo delle opposizioni è solo strumentale. «Ma gli italiani - ragiona il premier - non lo capiscono mentre ci hanno chiesto di cambiare un sistema politico che non funziona più e che noi lo faremo senza paura e senza mollare».



È chiaro che tra i fedelissimi del premier la giornata di oggi, tra cori in aula e volantini esposti, è l'ennesima prova che sarebbe meglio andare alle urne per vincere e creare una maggioranza omogenea. Ma il premier non la ritiene la via maestra, convinto che la gente «vuole finalmente le riforme e non le ennesime elezioni». Per questo, convinto che «un giorno in più, una settimana in più e ce la faremo», Renzi guarda alle prossime tappe: giovedì a portare in consiglio dei ministri il decreto «Sblocca-Italia» e a rodare il nuovo team di economisti che ha voluto a Palazzo Chigi per definire le misure che saranno il cuore del programma dei mille giorni che presenterà a settembre.



«Non accettiamo la dittatura della minoranza», è la linea che va avanti senza preoccuparsi delle critiche dei nemici. E neanche dei consigli degli amici, come Diego Della Valle che sembra giudicare la trattativa messa in piedi con Forza Italia quando rivolge un appello al presidente della Repubblica, senza però riferirsi al premier, «perchè la Costituzione scritta da persone come Einaudi non sia fatta cambiare dall'ultimo arrivato seduto in un bar con un gelato in mano» o, «da vecchi marpioni della politica italiana».
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 30 Luglio 2014, 09:46
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