Napoli, trecento migranti ammassati
nel ristorante: è notte di violenza -Foto

Napoli, 300 migranti ammassati in ristorante: notte di violenza

di Pietro Treccagnoli
VARCATURO - «Il tuo sogno... è realtà». La scritta sulla facciata del «wedding park» della Domiziana, il parco dei matrimoni «Di Francia», è ormai una beffa. Strappa un sorriso amaro, perché per 310 migranti, africani e asiatici che vi sono ospitati, è un incubo. Altro che sogno. Qui, fino a pochi mesi fa si costruiva il giorno più bello per promessi sposi di bocca buona, ora è un dormitorio.







L’atmosfera è incongrua, una struttura leziosa, costruita per servire spaghetti alle vongole e torte millefoglie ha cambiato pelle, diventando un centro di raccolta per giovani in cerca di un futuro in Europa, giovani che da almeno un mese, però, sono sul piede di guerra. Proteste, «grève», sommosse, blocchi stradali. Risse e mazzate tra gli stessi migranti. Tutto nato, dicono, per futili motivi, all’apparenza, questioni di convivenza in un edificio anomalo, adattato, non convenzionale. Sabato scorso, fino alle due di notte, in circa 200 se le sono date di santa ragione. Sono volate sedie di ferro, sono stati tirati fuori bastoni. Ivoriani, maliani, bengalesi, pakistani, senegalesi, nigeriani tutti insieme violentemente. «Non è stata una questione etnica» spiega con un faticoso francese Mohammed, 19 anni, ivoriano, una t-shirt nera e sulla testa riccioli neri appena abbozzati. È in Italia da due mesi e qui vorrebbe restare per fare il meccanico. «Sono bravo, nel mio Paese lo faccio da quand’ero bambino».



Ma la rissa dell’altra notte? «Piccoli affari, questioni personali». Saranno stati pure futili motivi, ma sette di loro sono finiti in ospedale, uno persino con il codice rosso, due sono stati arrestati e nove denunciati. Vittime sarebbero stati i pakistani. È intervenuta la polizia di Giugliano, diretta da Pasquale Trocino. Due pattuglie per tenere a bada centinaia di giovani imbufaliti. Sono arrivati, come rinforzi, pure venti di uomini dei reparti antisommossa. La situazione si è calmata, poco alla volta, ma per quattro ore, in questo angolo del litorale campano se la son vista brutta. Hanno anche bloccato la strada. Questioni di convivenza, insistono i giovani africani raggruppati all’esterno del fu ristorante.









Casacche pezzotte del Barcellona e del Psg, grandi cuffie bianche per ascoltare la musica, un ciondolo al collo con i colori rasta, telefonini vintage, occhiali a specchio, una bicicletta per pedalare, un morso a una mela, una bottiglina d’acqua tra le mani e tanta voglia di parlare, di sfogarsi. Anche Issa è ivoriano e di anni ne ha 21: «È difficile vivere in cento in uno stanzone. Non si sta bene. Fa caldo, le docce e i bagni sono pochi». Gli animi avvampano in un istante. «Anche il cibo non è buono» si inserisce James, ghanese, 26 anni. «Questo è un altro fatto, però» ammette «non c’entra con le botte dell’altra sera. Ma è una delle ragioni di fondo che scatena la nostra protesta».



Quello che chiedono è presto detto: documenti per mettersi in regola e restare in Europa («le papièr» sottolinea con gesto inequivocabile Issa), il «pocket money» (l’«argent de poche»), un medico che li visiti davvero e non si limiti a «compilare carte» e ordinare medicine che non possono comprare, una pulizia più accurata (sono tutti maschi e giovani, poco propensi all’autogestione dell’igiene) e dei vestiti. «Da mesi abbiamo addosso sempre gli stessi panni» si lamenta Ray, nigeriano, 25 anni, una faccia da duro, segnata con due linee verticali. In tanti, a ciondolare tra i vialetti o seduti sotto un gazebo di paglia o all’interno davanti un televisore al plasma, sono a torso nudo o in mutande. Fa caldo, un caldo africano al quale loro stessi sembrano non essere abituati.



I loro abiti sono stati lavati e sono stesi ad asciugare sulle siepi che attraversano lo spazio antistante al ristorante vero e proprio. Al primo piano c’è la grande camerata con un centinaio di letti. Dove si pranzava, si brindava e si suonava adesso si dorme come in una camerata di guerra, come in un ospedale da campo. Una brandina attaccata altra, giusto poco centimetri per passare, un comodino. L’ambiente troppo vasto è stato delimitato con dei pannelli in plexiglass. Ma ci sono brande pure sui pianerottoli. O in spazi più piccoli che esibiscono nomi nobili: «Sala dei Principi», «Principe», «Regina». «Nella mia stanza» racconta Amadou (viene dal Mali e dichiara vent’anni) «dormiamo in 25. È naturale che non si va sempre d’accordo». Il resto lo fa l’inattività, l’abbondanza di tempo da perdere. «Possiamo uscire, certo» ammette Mohammed.



«Non è una prigione. Passeggiamo, andiamo fino al mare, fosse anche solo per lavarci». Certo, ci vuole un animo disperato per definire passeggiata la via crucis che tocca percorrere lungo una strada martoriata come la Domiziana e per considerare acqua in cui lavarsi quella di un litorale mai bonificato e depurato. Ma non hanno alternative. Con gli abitanti di questa frazione di Giugliano non ci sono mai state frizioni, finora. «Nessuno protesta per la nostra presenza» chiarisce Issa. «Almeno non lo fa con noi». Ma la situazione può diventare esplosiva. Lo stesso sindaco, Antonio Poziello, eletto un paio di mesi fa, mette le mani avanti con un post su Facebook. «A nessuno sfugge, a me per primo, la drammaticità della situazione sul fronte degli sbarchi e dell’immigrazione» ha scritto «ma vorrei che a nessuno sfuggissero neanche le difficoltà che le comunità locali vivono quando l’accoglienza viene declinata nella maniera maldestra cui assistiamo ad esempio al Di Francia?».



E chiede l’intervento della Prefettura: «Credo che debba verificare cosa accade sul nostro territorio, effettuando controlli sulle cooperative che gestiscono l’accoglienza». Il litorale, diviso tra Giugliano e Castelvolturno, tra Napoli e Caserta, da decenni soffre della mancata gestione di un grande patrimonio naturale. A percorrerla anche di giorno, la Domiziana è la strada più zellosa della regione. Prostitute appostate a tutte le ore, all’ombra dei canneti o poco lontano dall’ingresso in ristoranti e hotel con stelle ambigue. Fino a qualche anno fa si trovavano solo africane, ma l’arrivo di donne dall’est ha fatto cambiare colore al mestiere più antico del mondo. I pendolari della tintarella domestica, in questi anni di crisi, sono aumentati, ma tutt’attorno il paesaggio saccheggiato dall’abusivismo non è migliorato. Prevale uno microeconomia predatoria che ha trasformato un’opportunità in un problema, i ristoranti in ghetti per migranti, i sogni in abito bianco in incubi dalla pelle nera.
Ultimo aggiornamento: Martedì 1 Settembre 2015, 11:29