Gli italiani in carcere in Guinea Equatoriale
senza neanche un capo d'accusa

Gli italiani in carcere in Guinea Equatoriale senza neanche un capo d'accusa

di Bianca Francavilla
Era un cassaintegrato romano come tanti altri Fabio Galassi, 61 anni, quando ha sentito parlare di un’offerta di lavoro in Guinea Equatoriale. Ha fatto le valigie e si è trasferito in cerca di fortuna. E il Paese dove è andato ad abitare sembrava proprio l’America: uno stipendio fisso nell’azienda del settore edile General Work, come Roma e l’Italia non permettevano.

Era il 2010 e non sapeva delle circostanze poco chiare nel passato dell’azienda come la morte del fondatore Igor Cerotti, che faceva parte dell’opposizione politica, in un incidente aereo dove misteriosamente il pilota era sopravvissuto. Sembrava solo un’ottima occasione lavorativa e tutto filava talmente liscio che dopo Fabio si è trasferito anche il figlio Filippo, 24 anni, e qualche anno dopo il migliore amico Daniel, 24 anni, ed il padre Fausto Candio, 55 anni.



A un certo punto, qualcosa di quell’equilibrio si è rotto: gli stipendi non sono arrivati più e l’azienda di cui il 45% delle quote sono del figlio del presidente Obiang ed il restante della moglie del fondatore deceduto ha iniziato a far sentire il suo potere. Le forze dell’ordine hanno bussato alla porta di Fabio, intimando di consegnargli “le valigie con dentro i soldi”. Fabio è stato portato in commissariato e ha dimostrato che all’interno di queste valigie erano presenti solo degli oggetti personali. Ma viene portato ugualmente insieme al figlio nel carcere di Bata, con la scusa di “tutelare la sua sicurezza”. Non viene notificata la motivazione e non vengono avvisati i familiari italiani. Con difficoltà Filippo viene rilasciato e Fabio in tribunale spiega che in casa ci sono i documenti che dimostrano la loro innocenza. Ottengono il permesso di andarli a prendere ma è solo una trappola. La porta dell’abitazione è transennata e quando, insieme al fidato Daniel, entrano dalla finestra vengono ripresi e accusati di essersi introdotti dove non avevano diritto. Porte aperte del carcere per tutti e tre.



E’ il 24 giugno, una data che i familari non possono dimenticare. Da quel giorno niente è cambiato. I tre italiani, Fabio, Filippo e Daniel, si trovano reclusi nel carcere di Bata senza un capo d’accusa e senza documenti che ne attestino l’arresto. E Fausto ed un altro connazionale, Andrea, sono ai domiciliari rei di aver acquistato un biglietto aereo e di avere intenzione di tornare in Italia. “Sono state forzate le porte degli uffici dove lavoravo – si legge nei documenti inviati alla Farnesina da Fabio, forniti dalla sorella Patrizia – e asportati documenti aziendali senza la presenza di nessun legale di fiducia e non è stato redatto alcun verbale.



Il tribunale ha bloccato i miei conti bancari in Guinea Equatoriale e sul conto italiano cosicché non posso ricevere aiuti economici e nessun avvocato è disposto a tutelarmi senza il pagamento di un anticipo. Mi è stato sottratto anche un certificato medico, redatto da un oculista cubano dell’ospedale di Bata che attesta un trauma oculare che mi sta provocando una perdita progressiva della vista e necessito di un intervento urgente per porre rimedio a questo problema”. I familiari sono disperati e faticano a tenere il controllo della vicenda. “Sono dimagrita 13 chili – spiega Carla, moglie di Fabio e mamma di Filippo – pensando alle torture che ha subito Roberto Berardi nello stesso carcere perché sono terrorizzata che possa accadere anche a loro, che sono innocenti”. Il carcere di Bata, infatti, è noto alle cronache per la detenzione di Roberto Berardi, durata due anni e mezzo per un reato non commesso.



La vicenda dell’imprenditore pontino, fatta di torture, luce spenta e violenze, si è conclusa solo al termine della pena fittizia, senza che lo Stato Italiano sia riuscito a riportare a casa un cittadino le cui carte del processo avevano dimostrato l’innocenza. “Io – spiega Roberto Berardi – sono stato vittima di cleptocrazia.
E’ il reato per cui un governo si impossessa del patrimonio di un privato per investirlo all’estero per fini personali. Nella legislazione italiana le vittime di quest’ingiustizia non sono tutelate, per questo non sono stato aiutato e nuovamente sono stati presi di mira altri italiani”.

Ultimo aggiornamento: Martedì 15 Settembre 2015, 17:29
© RIPRODUZIONE RISERVATA