Isis, foreign fighters: rientri record,
cresce l’allerta in tutta Europa

Isis, foreign fighters: rientri record, ​cresce l’allerta in tutta Europa

di Cristiana Mangani
«Quello dei foreign fighters è un fenomeno che suscita grande preoccupazione»: a lanciare l’allarme è stato lo stesso presidente Sergio Mattarella durante la video conferenza avvenuta nei giorni scorsi con i militari della missione Nato Kfor, in Kosovo. E la sua frase non è sembrata casuale, anche perché è stata rafforzata dal generale Guglielmo Miglietta, il quale ha ribadito: «diverse centinaia di foreign fighters originari del Kosovo potrebbero seguire il flusso dei migranti anche per raggiungere l'Europa». Il flusso al contrario sarebbe stato generato dai raid aerei dei russi sulla Siria. La legione straniera che compone l’esercito dell’Isis avrebbe scelto di cambiare stategia, di rientrare nei paesi di adozione o di rimanere “dormienti” in attesa di ordini. Così come hanno suggerito alcuni jihadisti di nazionalità britannica: «Astenetevi dal raggiungere la Siria - è stato l’appello lanciato nelle scorse settimane e ripreso dal Daily Mail - aspettate invece il segnale per colpire in patria».

IL NATURALIZZATO
Cambia dunque la figura del foreign fighters, si trasforma in inside fighters, e scoprirne movimenti e intenzioni diventa sempre più difficile. Secondo i dati diffusi dal Viminale, sono circa 90 i combattenti “italiani” che si sono recati sui teatri di guerra per addestrarsi e affiliarsi allo Stato islamico. Di questi, 18 sarebbero morti, altri avrebbero fatto perdere le loro tracce, ma una decina sarebbero rientrati nel nostro paese. Il fenomeno che preoccupa gli 007 di mezzo mondo emerge dalle ultime e più recenti analisi di intelligence. E se più di un anno e mezzo fa si contavano approssimativamente 12 mila foreign fighters provenienti da 81 paesi, prima di questa nuova inversione di tendenza il numero era aumentato tra i 27 e i 31 mila in arrivo da 86 paesi. Un vero e proprio esodo che è contenuto nel rapporto pubblicato da The Soufan Group, think tank di analisi strategica che ha sede a New York, Londra, Doha e Singapore. L’indagine condotta dal team di ricercatori e analisti su fonti governative e di altre organizzazioni internazionali, rappresenta l’aggiornamento di un primo rapporto uscito a giugno del 2014.

Di recente, però, la situazione sembra essere nettamente cambiata, così come la funzione del “legionario”. Reclutatori e nuove leve vengono in contatto attraverso il web, si incontrano, circolano liberamente nei loro paesi, perché ormai ne possiedono il passaporto. In alcuni casi sono anche nati lì. Affascinati da coloro che rientrano da Siria e Iraq vengono assoldati e fanno a loro volta proselitismo. Lo scenario francese degli attentati del 13 novembre ne è un esempio: Abdelhamid Abaaoud, era un belga-arabo, aveva combattuto in Siria, ed era rientrato. La sua figura era cosiderata carismatica tra i seguaci del Califfo. E così alcuni dei nuovi adepti hanno scelto di partire per il jihad, altri invece sono rimasti nei paesi di residenza dove infoltiscono pericolose cellule dormienti.

IL RAPPORTO
Sempre secondo il rapporto, le stime attuali dei foreign fighters che hanno fatto rientro in Europa è del 20-30 per cento, ma si tratta di un dato destinato a salire se i raid della comunità internazionale dovessero effettivamente costringere gli eserciti dello Stato islamico alla ritirata. Il rischio legato alla guerra contro Isis risiede nel possibile cambio di strategia attuato dalla sua leadership. Se l’obiettivo non sarà più il consolidamento territoriale nella regione del Syraq, potrebbe diventare l’attacco ai nemici del Califfato nel cuore dell’Occidente. Allora – sostiene il Soufan Group – i foreign fighters avranno un ruolo del tutto nuovo e ben più pericoloso da gestire per i governi occidentali.

Ultimo aggiornamento: Domenica 27 Dicembre 2015, 09:35