Banche, lo stop di Bruxelles. Il Tesoro:
"Non avevamo altra scelta"

Banche, lo stop di Bruxelles. Il Tesoro: "Non avevamo altra scelta"

di Rosario Dimito e Carlotta Scozzari
ROMA Se Banca delle Marche, Banca Etruria, Carichieti e Cassa di Ferrara fossero state salvate col fondo interbancario di garanzia dei depositi, l'Unione europea avrebbe potuto bollare l'intervento come aiuto di Stato. E questo avrebbe comunque fatto scattare il meccanismo di risoluzione degli istituti di credito in difficoltà che ha azzerato l'investimento degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati.
Ecco come, nella missiva inviata il 19 novembre Margrethe Vestager e Jonathan Hill, commissari europei alla Concorrenza e alla Stabilità finanziaria, hanno messo in guardia il ministero dell'Economia guidato da Pier Carlo Padoan. Spazzando via ogni residua speranza di poter salvare le quattro banche in dissesto con il fondo di tutela dei depositi e adottando così una soluzione più morbida.

IPOTESI AIUTO DI STATO «Se - scrivono i commissari nella missiva resa pubblica ieri dal Tesoro - una valutazione porta alla conclusione che l'uso del meccanismo di tutela dei depositi rappresenta aiuto di Stato, allora verrà fatta scattare la risoluzione della banca in base alla direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche». In altri termini, l'intervento del fondo interbancario con ogni probabilità sarebbe stato inquadrato come aiuto di Stato e avrebbe fatto comunque scattare il meccanismo di risoluzione bancaria che ha annullato il valore dei titoli in mano ad azionisti e obbligazionisti. Se poi il salvataggio fosse avvenuto dopo il primo gennaio, a partecipare alle perdite - come impongono le nuove regole sul cosiddetto bail in - sarebbero stati anche gli obbligazionisti non subordinati (purché non detentori di obbligazioni garantite, che sono invece tutelate) e i correntisti oltre i 100 mila euro (già oggi protetti da un fondo apposito fino a questa cifra).

ARRIVA IL SALVA BANCHE La lettera europea lega le mani al governo di Matteo Renzi, che subito dopo, il 22 novembre, approva il decreto cosiddetto Salva banche e sceglie di condurre i quattro istituti in crisi fuori dalle secche con la creazione di una bad bank (banca cattiva), con annessa penalizzazione di azionisti e obbligazionisti, e di una banca buona, che ha consentito di preservare conti correnti e impieghi. Eppure, inizialmente, il Tesoro e Bankitalia avevano studiato un'operazione che prevedeva l'intervento del Fondo interbancario per ricapitalizzare le banche in dissesto nella loro interezza e senza perdite per azionisti e obbligazionisti, quindi - è bene sottolinearlo - senza costi per i risparmiatori. Che invece hanno dovuto sopportare il sacrificio a causa della dispotica e iniqua imposizione della Ue, non applicata in altri paesi. Giorni fa, infatti, il salvataggio della Banif da parte della spagnola Santander è stato reso possibile da una manovra dello stato portoghese che ha garantito 2,2 miliardi complessivi con l'avallo dell'Europa.
Ma l'impostazione italiana per le quattro banche salvate era stata subito bocciata dalla Commissione europea, sicché Tesoro e Bankitalia avevano proposto una seconda soluzione, che prevedeva la svalutazione delle sofferenze bancarie lorde del 40% circa (contro quella dell'83% che c'è stata effettivamente) e la conversione di obbligazioni subordinate in azioni. Questa variante avrebbe consentito ai possessori di bond di non vederseli bruciare di colpo ma di confidare in un recupero legato alla ripresa delle azioni degli istituti quando sarebbero stati venduti.
Ma anche questa volta l'Ue dice «no», proprio con la lettera resa pubblica ieri. Un «no» che ai piani alti di Palazzo Chigi fa male e che, secondo la ricostruzione del Tesoro, si è basato su un'interpretazione delle norme europee che porta a «un'incongruenza del quadro giuridico». Il riferimento è al fatto che la lettera risale al 19 novembre, mentre la direttiva cosiddetta Brrd, che ha istituito l'Autorità di risoluzione per le crisi bancarie, era entrata in vigore appena tre giorni prima. La soluzione obbligata scelta dall'Unione europea e non dall'Italia, come noto, ha poi imposto un intervento con risoluzione delle banche, ciò ha richiesto una valutazione delle sofferenze ai prezzi di liquidazione, con conseguente forte aumento delle perdite e azzeramento dei titoli subordinati.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 24 Dicembre 2015, 17:24