Don Antonio rientra dalla missione in Africa
e lo blindano in casa: "Psicosi da ebola"
di Lorenzo Zoli
Ormai è più il tempo che passa nel tormentato paese africano di quello che trascorre in Italia. «È così», conferma. È tornato lo scorso 1° ottobre. Non ci sono stati problemi, sino a quando, una decina di giorni fa, con sua grande sorpresa non gli è stato gentilmente richiesto, di fatto imposto, di limitare i contatti con altre persone. Di stare in casa, insomma. A monte di tutto, l'allarme - giustificato o meno che sia - per il virus dell'Ebola. Doverosa premessa: il missionario non è malato, non ha alcun problema, non ci sono motivi di allarme o di preoccupazione per la salute pubblica. Si tratta di una misura precauzionale. Che però ha destato disagio e fastidio nel destinatario. In primo luogo per i modi.
«Di fatto sono stato messo all'improvviso quasi ai domiciliari - spiega - o come minimo a domicilio coatto. Mi hanno chiamato dal tribunale. Non so bene chi mi abbia parlato, se un cancelliere o un magistrato. Poi è arrivata l'ordinanza di confino del sindaco. Ora sono a casa di parenti a Barbona». Una situazione che gli appare senza senso. «Dal punto di vista medico - prosegue - non ha davvero alcun significato quello che sta accadendo. Quando sono partito dalla Sierra Leone, sulla strada dell'aeroporto ogni dieci chilometri c'era un posto di blocco al quale venivo sottoposto a tutti i controlli del caso. Mi avranno misurato la febbre una ventina di volte».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 24 Ottobre 2014, 11:17